Pensavamo che il problema della povertà fosse qualcosa di circoscritto o confinato a paesi lontani. Pensavamo che la povertà fosse quasi un problema di pelle.
Invece la povertà vive sul nostro pianerottolo, prende le forme della famiglia cosiddetta normale, investe ogni categoria ed ogni età.
La nuova povertà, quella del terzo millennio non è la sola mancanza di beni materiali senza i quali l’individuo non può acquisire e soddisfare i bisogni primari: mangiare, vestirsi, la casa, far studiare i figli.
La neopovertà non è solo la perdita del potere di acquisto ma una condizione di vergogna dove l’uomo non solo non possiede il denaro ma non possiede più neanche la dignità. La povertà come negazione non solo dell’avere ma anche dell’essere.
Una povertà che recita: non ho quindi non sono.
Non potrebbe essere diversamente in una società che mette come unica unità di misura i soldi; certo non dobbiamo stupirci, soprattutto noi fortunati, di stare dentro questi meccanismi che abbiamo sfruttato meglio di altri per merito o solo fortuna; è arrivato tuttavia il momento di soffermarci a riflettere .

Qui sta il vero nocciolo del problema : se si perde la dignità, l’intraprendenza ,il senso delle cose non sarà mai possibile risalire la china o comunque raggiungere il livello minimo e naturale di soddisfazione dei bisogni primari.
Per rimanere in gioco occorre non perdere la speranza, avere obiettivi compatibili con se stessi, non inseguire il miraggio del solo successo economico come sinonimo di felicità.
Il nostro aiuto, anche se piccolo, vuole consentire a chi si trova, anche temporaneamente e suo malgrado ai margini della società di rientrare in gioco.